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Quanto basta di cucina & altro

Torta Pasqualina / note storiche, contemporanee + prescinseua fatta in casa

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Dopo MOLTI esperimenti, concludo che la torta Pasqualina non mi fa impazzire. Come avevo già’ scritto: che non ci sia un guscio croccante a racchiudere quel ripieno eccellente, non mi convince. Preferisco una torta di verdura che abbia solamente un suolo e un coperchio, con una pasta tirata più’ spessa e che rimanga croccantina più’ a lungo; ereticamente poi amo  anche molto il ripieno della pasqualina racchiuso in una sfoglia burrosissima, come questa brise’.  Detto cio’ sono sempre pronto a cambiare idea.

Gli esperimenti sono stati molto utili e come spesso accade il viaggio e’ stato prezioso quanto e più’ dell’arrivare alla meta. Le (ri)scoperte più preziose sono due: una ottima ricetta per una simil prescinseua fatta in casa (la ricetta di questo link non e’ quella che ho in mente, attendere prego) e una fantastica biblioteca digitale di testi gastronomici antichi.
Annoto qui prima di dimenticare, dato che alcune osservazioni possono risultare utili anche in altri contesti e per coloro che volessero magari allargare/approfondire la loro conoscenza della torta Pasqualina (TP). NOTA BENE: le seguenti sono semplici osservazioni/spunti per approfondimenti, nulla di più’.

Prossimamento pubblico le quantità’ degli ingredienti che io ho usato.

Da quelli che sono considerati due testi fondamentali della cucina genovese e a cui tutto sembra fare capo:

La cuciniera genovese, ossia La vera maniera di cucinare alla genovese ravioli, lasagne, tagliolini, gnocchi (troffie), minestra maritata (menestron), ripieni d’ogni sorta, intinti, sughi, salse, soffritti, arrosti, ragouts, stufati, fricassees, umidi, pesce in tocchetto (buridda), fritture, cappon magro, torte, polpettoni, frittate, farinate, frittelle, ecc. pan di natale, latte, dolci, marmellate, ecc. (G.B. Ratto prima edizione 1863, p 187)

La vera cuciniera genovese facile ed economica, ossia maniera di preparare e cuocere ogni sorta di vivande: all’usanza di genova, premessovi un elenco dei vocaboli attinenti alla cucina menzionati nel corso di questa operetta colle corrispettive voci genovesi ed aggiuntovi in fine un indice generale  (E. Rossi prima edizione 1865, p 222)    (ATTENZIONE: questo libro dalla Barilla Academy NON e’  La Vera Cuciniera Genovese di Rossi, ma un’opera del 189? che mescola le ricette di Giobatta e di Rossi; a ricetta della TP e’ qui dissimile da quella del Ratto, quindi concludo che si tratti di quella di Rossi/ non ho trovato in rete fonti certe che riportino la ricetta di Rossi in modo inequivoco)

(per osservazioni su questi due manuali di cucina, anche in relazione ad Artusi (che non ha la TP nella sua Scienza in Cucina/e questo molto dice sul testo di Artusi): qui e qui)

la  Torta Pasaqualina prevede come elementi fondamentali:
un certo numero di sfoglie fatte con pasta matta, ovvero farina + acqua+ olio + sale
bietole, cotte oppure no, condite con Parmigiano /o Pecorino grattugiati
quagliata di latte (la prescinseua)
uova intere scoccate sulla/nella quaglia
Le bietolole, la quagliate e le uova non sono amalgamati fra loro, ma mantenuti in tre strati distinti (altrimenti, se mescolati, da Torta Pasqualina diventa Torta Capuccina)

Nella Cuciniera Genovese del 1863 non troviamo la maggiorana, oggi considerata uno dei profumi/sapori principi della cucina ligure. La maggiorana compare invece nella Cuciniera del 1865.

Da questi due modelli di riferimento sono nel corso dei decenni derivate innumerevoli variazioni: con/senza maggiorana, con uova sopra/senza uova (che io preferisco), con/senza soffritto di cipolla nelle bietole ecc.Teniamo inoltre a mente che, ovviamente, nel momento stesso in cui si codifica una ricetta, la si sclerotizza, la si rende cosa morta/museale/archeologica e quindi distinta da quella realtà vitale, in continua mutazione che e’ la cucina quotidiana: ovvero anche nei confronti di quelli che sono considerati “modelli di riferimento” dobbiamo sempre porci in modo critico: chi ha codificato la ricetta? quali scelte avra’ fatto? Il fatto che nella ricetta piu’antica non ci sia la maggiorana, che invece compare nella versione di due anni successivi, indica chiaramente come, salvo alcuni snodi/regole di base fondamentali , ogni ricetta lasci poi ampia libertà’ al cuoco, per fortuna.

Ovviamente la TP esisteva ben prima che fosse codificata e si inserisce in una vecchissima tradizione locale di torte di verdure: già’ Bartolomeno Scappi nella suo Opera (1570) , ne prevede una versione ante-litteram: la Gattafura. Questo articolo suggerisce che  “le torte di verdura sono uno dei piatti simbolo della nostra cucina [ligure, ndr]. Si possono fare in tutte le stagioni, anche se nel tempo hanno consolidato il nome di “Pasqualine” proprio perché preparate tradizionalmente in occasione della Pasqua…La Pasqualina, come detto, si fa in tanti modi e con diverse verdure. Delle bietole e dei carciofi abbiamo già parlato e ad esse vanno aggiunti i porri, la zucca, gli zucchini, gli asparagi, le cipolle – variante citata anche dallo Scappi – e i funghi (fra le torte salate molto popolare quella di riso). Da non dimenticare le torte di patate, che in val Graveglia si chiamano Baciocche e si fanno sia con le patate sia con i funghi e meriterebbero un capitolo a parte”. L’articolo e’ scritto da un esperto di cucina ligure, Sergio Rossi (di cui consiglio anche il blog (guardate ad esempio questi gnocchetti rinascimentali di Bartolemo Scappi,  a me si sono aperti orizzonti nuovi!) . Qui info su Sergio Rossi/qui il suo bel sito La Civilta’ della Forchetta (in memoria di Giovanni Rebora).

A detta di molti, la vestale contemporanea della TP e’ Enrichetta Trucco, di cui ho scovato questo utile video. Noterete che non solo la signora Trucco utilizza bietole crude (come d’altronde anche in questa altra ricetta per una torta di bietole e prescinseua/ attenzione che alla fine del video c’e’ una bella parte storica), ma che fra gli ingredienti cita anche “un pizzico di Saporita”: cosa essere?? mi sono chiesto, non avendola mai sentita nominare. Ricerca facile: eccola qui…Si tratta di un mix di spezie che la Bertolini lancio’ nei primi anni venti del Millenovecento e che e’ ancora in commercio (La Via delle Indie): coriandolo, cannella, chiodi di garofano, semi darvi, noce moscata. Io non ho mai provato, ma, dalla mia esperienza, l’abbinamento bietole & spezie e’ ottimo (pensiamo a tutte le minestre mediorientali, come questa/ma anche al classicissimo abbinamento spinaci/noce moscata). Mi sembra un tocco personale azzeccato che e’ pero’ anche un retaggio di certa cucina medievale e rinascimentale, dove l’abbinamento verdure/mix di spezie e’ usuale. Pertanto sentiamoci liberi di aromatizzare le bietole seguendo il nostro gusto: un pizzico di noce moscata e/o cannella, qualche foglia di maggiorana o magari, perché’ no, anche di menta (come nella ricetta della Gattafura di Scappi).

La pasta matta, le sfoglie, la stesura

Quasi tutti la fanno con farina, acqua, olio e sale: qui  una versione e ancora Enrichetta Trucco per vedere come stenderla con il matterello prima e i pugni dopo. Non mi convince molto invece l’uso della farina Manitoba che vedo a destra e manca, per due motivi: la farina Manitoba ha indubbiamente caratteristiche tali da rendere l’impasto molto estensibile, tuttavia una specie di repulsione nazional/filologica mi impedisce di usare una farina completamente estranea alla nostra tradizione (generalmente la Manitoba e’ canadese) in un piatto così’  “nostro” e antico. Inoltre, da quel che ho imparato dalle mie letture/studi/corsi su pane/pizza/impasti & Co, le farine ad alto contenuto di glutine vanno solamente usate in impasti a lunghissima lievitazione/maturazione/riposo, altrimenti rendono il prodotto finito duro in masticazione e poco digeribile: non ho pero’ sufficienti conoscenze tecniche per giustificare scientificamente, ma ne sono quasi certo (ovviamente si potrebbe usare la Manitoba lasciando pero’ riposare l’impasto in frigorifero per parecchie ore,  leggere sotto).

Io ho usato plain flour, in Italia userei normalissima farina 0. La mia dose di farina comprende anche un venti cento di farina integrale, per avere una sfoglia più’ saporita (inoltre, pseudo filologicamente, la farina bianca di un tempo era sicuramente molto meno raffinata di quella attuale). In teoria questo rende l’impasto più’ difficile da stendere (la crusca potrebbe strappare il velo di sfoglia), in concreto non ho pero’ mai riscontrato grandi difficoltà’ (e anche se si facesse un buchette nella sfoglia,  poco male). Ho anche provato a frullare preventivamente la farina integrale con una parte dell’acqua (trucco imparato da alcuni maniaci della pizza casalinga): questo rende la sfoglia “ancora più’ sicura”.  Un dettaglio fondamentale e’ il riposo della pasta, soprattutto se si sceglie di usare anche farina integrale. Un impasto fatto riposare per un oretta si stende facilmente, un impasto fatto riposare per parecchie ore si stende molto, molto meglio. La pasta perde esponenzialmente di elasticità’ (e, nel mio caso, intuisco anche che la crusca che ho aggiunto sotto forma di farina integrale, si “ammorbidisca” in qualche modo, nell’ambiente umido dell’impasto: questo dovrebbe diminuire ulteriormente il rischio che strappi poi la sfoglia…??). Io ho tenuto l’impasto in frigo per quattro giorni e non ho rilevato nessun deterioramento. Suppongo che con un lungo riposto dell’impasto, anche una farina Manitoba possa essere usata.

Ho anche sperimentato con una sfoglia fatta con farina, acqua e  vino bianco (da questo sito/TP della Mila): indubbiamente buona, ma non ho ravvisato grandi differenze rispetto alla pasta matta fatta con solamente acqua/olio/frina  Mi chiedo quale effetto abbia l’elemento acido sull’impasto: rafforza o indebolisce il glutine? Ho letto tutto e opposto di tutto e non ci ho capito  nulla. La pasta matta con il vino bianco compare in moltissime ricette regionali del sud Italia, ma non l’ho mai vista nell’ambito della cucina ligure, se non appunto in quel sito,  Per chi volesse inoltre una bella panoramica di paste per torta salate, qui alcune idee (ho riconosciuto vecchi nomi dalla blogosfera). In ogni caso l’impasto ideale non deve assolutamente risultare tenace, anzi. Nel dubbio meglio abbondare di liquido: io penso che le proporzioni della TP della Mila di cui sopra siano perfette (che si usi oppure no vino bianco). Un trucchetto: mescolare gli ingredienti e cercare di ottenere un impasto “appiccicaticcio”; lasciare riposare coperto per 30 minuti per dare tempo alla farina di idratarsi completamente: lavorare su un piano leggermente unto, avvolgere in pellicola e mettere in frigo per xyz ore.

Sia nel video della signora Trucco sia in quello della trattoria Bedin la teglia della TP,  generalmente larga e bassa, viene posta su un rialzo/trepiede in modo da poter poi tirare le sfoglie verso il basso: aiuta ma  non e’ essenziale. Le sfoglie vanno spennellate/zigzagate d’olio; io fra una sfoglia e l’altra ho anche, in uno dei tanti esperimenti,  cosparso di pangrattato: aiuta, ma solo marginalmente a dire la verita’, a impermeabilizzare  il suolo. Io ho usato teglie di alluminio usa e getta che hanno il vantaggio di non essere particolarmente alte: per una TP da 6 porzioni ho usato teglie dal diametro di 24 cm e alte 4. Gia’ Bartolomeo Scappi nel Cinquecento diceva che la Gattafura (antesignana della TP) dovesse essere alta un dito: le versioni più’ convincenti allestiscono sempre una TP piuttosto bassa

Sul numero delle sfoglie si fa un gran parlare che anticamente fossero 33: sara’, sicuramente quel numero ha un valore simbolico, detto cio’, come dice Enrichetta Trucco, possono tranquillamente essere molto meno. In nessuno dei due testo Ottocenteschi si fa riferimento alle sfoglie=eta’ di Cristo. Anche il fatto che la TP debba essere “a campana” e’ molto soggettivo: io preferisco strappare/pizzicare le sfoglie superiori in modo da creare degli “sfiatatoi/camini”: questo evita appunto che si crei, a causa del vapore interno, quella campana che molto facilmente si brucerebbe poi in forno.

La cottura: qui sono andato seguendo la mia logica: massimamente volevo cuocere il fondo, cercando di ridurre il più possibile il rischio di suolo umidiccio. Nel mio forno la parte più calda e’ quella bassa, vicino alla resistenza. Ho fatto scaldare una teglia da forno nella parte bassa per mezz’ora a 200 gradi, ho infornato abbassando a 180 gradi. Ho cotto per un’ora e ho poi abbassato a 160 gradi cuocendo ancora per una trentina di minuti. Quando la torta e’ uscita dal forno ho spennellato ulteriormente con olio.

 

La prescinseua e’ per tutti i cuochi non genovesi la nota dolente. Questa quagliata di latte  e’ pressoche’ introvabile fuori dai confini regionali ed viene spesso sostituita dalla ricotta, che pero’ ha una consistenza e un gusto nettamente diversi. Io non l’ho mai assaggiata ma i miei amici liguri mi hanno spiegato che le sue caratteristiche sono un piacevole sapore acidulo, freschezza e una consistenza lenta e cremosa, a meta’ strada fra ricotta/yogurt/fiocchi di latte. In molti suggeriscono di sostituirla con ricotta mischiata qualche cucchiaiata di yogurt greco: ho provato e non mi ha convinto interamente, ma forse non avevo messo sufficientemente yogurt greco, dato che alla fine, non avvertivo alcuna nota acidula.

Memore di certe torte di verdura mediorientali in cui si usa lo yogurt, ho allora azzardato e ho preparato una TP usando semplicemente yogurt greco, ulteriormente scolato, e ispessito poi con qualche cucchiaio di farina (come suggeriscono di fare con la prescindeva i manuali ottocenteschi): ottimo risultato! e che consiglio a chi ama particolarmente le note acidule, che rendono il tutto molto più’ leggero al palato.

Un tarlo tuttavia continuava a lavorare nel mio cervello: perché’ non tentare la via dell’autarchia? Sono mesi che mi sto divertendo/sperimentando con formaggi freschi e cremosi fatti in casa e questa prescinseua non mi sembrava particolarmente difficile.La ricetta che va per la maggiore in rete e’ semplice ma vaga, dopo un po’ di ricerca sono atterrato su un gran bel libro americano sulla cucina ligure che non solo ha fra le fonti la mitica Enrichetta Trucco (buon segno, mi sono detto) , ma che da anche una versione precisa (ottenuta da un caseificio ligure) per una quagliata che penso dovrebbe avvicinarsi di molto alla prescinseua: eccola (nella preview). Molto facile e molto buona: e’ effettivamente una via di mezzo fra ricotta, yogurt spesso, fiocchi di latte. Giudizio: senz’altro positivo (ed e’ anche eccezionale con una spolverata di zucchero grezzo, con le fragole). Consiglio di raddoppiare almeno le dosi indicate. Il riposo di 24 ore e’ essenziale per ottenere quel gusto acidulo e fresco.

Le bietole: si dovrebbero usare quelle tenere e giovani, con un gambo sottilissimo. Io ho preparato sia una TP con biete cotte-ma non troppo  (con l’acqua rimasta alle foglie dalla lavatura), scolate, strizzate e ripassate in padella con un soffritto di cipoll) sia una TP con le bietole crude come indicato dalla signora Trucco e da uno dei testi Ottocenteschi e non ho riscontrato grandi differenze nel prodotto finito a dirla tutta: le malefiche, nonostante lalunga cottura della torta in forno, rendono sempre e comunque il suolo un poco umido. Il procedimento “a bietole crude” e’nettamente meno impegnativo ma le bietole devono essere ovviamente asciuttissime (io le ho lasciate, tagliate a chifonade, a scolare tutta la notte e poi strizzate ulteriormente in un triplo strato di scotte il giorno dopo) e cosparse poi di farina e cacio grattugiato. Detto cio’, detto cio’…. psicologicamente non riesco a togliermi dalla testa che pre-cuocendo le bietole al dente, scolandole e strizzandole, si elimini un po’ della loro acqua…. effetto placebo? negazione della mia osservazione dei fatti??/// si’ direi di si… la questione rimane irrisolta e tormentera’ le mie notti.
In uno dei molti esperimenti ho anche aggiunto degli spinaci e forse e’ stata la versione che mi e’ piaciuta di più’. Una volta ho mischiate le biete cotte con uova e cacio: forse questo rende il ripieno un po’ eccessivo, considerando poi anche lo strato finale di prescinseua, ma e’ sicuramente un gran signora torta salata (che non oso chiamare TP ma turta de gee).

Uova si o uova no alla fine? … de gustibus… provate entramne le versioni: io preferisco nettamente la versione senza uova, dato che non mi piace quella consistenza di uovo troppo cotto. Capisco ovviamente il simbolismo delle uova, a Pasqua, primavera ecc ecc ecc…

Come gustarla:…. assolutamente a temperatura ambiente e raffreddata, per me. Una volta ho fatto il madornale errore di assaggiarla quando la pasta risultava tiepidina.  Non solo l’interno era ancora caldissimo, ma il tutto non si era assestato, i sapori non combinati e tagliarla provo’ essere un incubo. Ho anche provato a riscaldarla il giorno dopo: non tanto per… riscaldarla, ma per tentare di rendere il fondo un po’ croccante. Ho scaldato una pesante padella in ghisa e quando caldissima ho aggiunto la torta, senza olio, e ho lasciato a fiamma bassa per alcuni minuti: ottima soluzione (che poi e’ come faccio anche per la pizza al trancio, le rare volte che avanza). Forse la TP riscaldata e abbrustolitina/incroccantizzata mi e’ piaciuta di più di quella fresca.

 

Altre osservazioni

Gattafura: gia’ in un testo del 1542 si parla di gattafura genovese

Dalla gattafura ai gattafin

Gastronomia Mediterranea

la torta p di Eugenio Torre che legge la versione in versi di Martin Piaggio, un poeta genovese dell’ Ottocento. Eugenio Torre e’ un culture di tutto quello che e’ cucina ligure e ha un blog ricco di cose belle, qui ad esempio la farinata, di cui esiste anche la versione video

Interessante raccolta di ricette liguri di un’associazione culturale di Varazze

Una TP vegana vegetariana Ottocentesca, una vera chicca,  ricetta tratta da : La cucina di strettissimo magro: senza carne, uova e latticini. Composta a comodo del pubblico per S. D. dei Minimi di San Francesco di Paola (1880) (p 126)

Ho osservato inoltre che rendo la preparazione della pasqualina (e anche di tutte quelle torte salate simili: sfoglia + ripieno),  molto più’ agevole se divido il lavoro in due tempi: il primo giorno preparo il ripieno e la sfoglia (che metto in frigo), il secondo giorno tiro la sfoglia e assemblo il tutto. Io ho tenuto l’impasto in frigorifero fino a quattro  giorni e non e’ successo nulla di catastrofico.

 

 

 

Written by stefano arturi

26/05/2015 at 22:33

12 Responses

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  1. […] I have written extensively about torta pasqualina  on my Italian blog. There is the recipe and some general observations. In any case, do have a look at these two excellent videos, to get the feel of what an authentic […]

  2. […] I have written extensively about torta pasqualina  on my Italian blog. There is the recipe and some general observations. In any case, do have a look at these two excellent videos, to get the feel of what an authentic […]

  3. Piccola precisazione: la versione dello strettissimo magro non è ahimé vegana, avendo del merluzzo negli ingredienti. Sarebbe comunque interessante, se fossi riuscita a trovare nel libro -che non si sfoglia tanto facilmente- come si fa la “lattata di pinoli”. Se qualcuno lo sapesse… immagino qualcosa tipo lascia in ammollo i pinoli per un po’ e poi frulla tutto insieme?
    Comunque concordo, l’uovo cotto dentro fa tanto scena ma non è buono, e gomma.
    Io ormai questa torta non la pensavo proprio più… però visto quanto può venir buona la pastiera vegana (Kitchen Bloody Kitchen), nonostante l’assenza di ricotta e uova (anzi io in verità la preferisco, lapidatemi se vi va), e quanto è buono il ripieno di ricotta a base di tofu, tahin e odori di quest’altra genia qua (http://www.100-vegetal.com/2013/11/chaussons-ricotta-vegan-epinards.html#.VWWJPSxr1DE), penso che un tentativo ci sta tutto, magari con aggiunta di labna di yougurt di soia. Non ditelo ai veri liguri per carità!!! 😉

    martuzza

    27/05/2015 at 22:33

    • Ciao marta
      Hai ragione: TP assolutamente non vegana/correggo. per il latte di pinoli io farei come dici tu, come per fare latte mandorle pinoli: pinoli in ammollo, frullati e poi strizzare il tutto/ripetendo piu’ volte.
      La pastiera di KBK avevo adocchiata e mi sembra che ricett non faccia una piega, anzi penso proprio che alla fine, considerando tutti queli altri sapori in gioco, non si avverta differenza tra tofu e pastiera (quale tofu hai usato? Quello piu’ fermo che si puo’ tagliare a cubotti?) + sono quasi tentato dato che ho barattolo di grano.
      Grazie anche per altro link, belle cose.
      ciau. St

      stefano arturi

      27/05/2015 at 22:33

      • aaah, difficile rispondere visto che non viviamo nello stesso paese. Il tofu che ho usato io è quello che io trovo IL migliore disponibile qui in Francia: è “fermo” (come dici tu) tagliabile a cubotti, ma non direi che sia il più “extra-firm” reperibile in commercio. Resta comunque leggermente sbucherellato e sbriciolabile molto facilmente a mano. Ma soprattutto ho scelto quello perché è quello che ha miglior gusto, non penso che la consistenza sia troppo troppo determinante (certo, non va bene il silken!). Come avevo scritto su gennarino “Il ripieno è la parte che più si avvicina alla versione tradizionale. L’unica differenza è che, pur essendo profumatissimo, umido, dolce al punto giusto, insomma perfetto, risulta meno grasso e “pesante” di quello con ricotta e uova.”. IMHO! Quindi se hai barattolo di grano cotto, io sì consigliare tantissimo! Tant’è che me ne sono appena fatti portare due barattoli dall’Italia, e in barba all’estate imminente conto di rifarmene quante più possibile di queste pastiere eretiche…
        P.S. peccato che per la lattata di pinoli occorra un mutuo… 😛

        martuzza

        27/05/2015 at 22:33

        • heheh non è nemmeno vegetariana, c’è il pesce! Ma ora basta fare la maestrina con la penna rossa, esco! 😛

          martuzza

          01/06/2015 at 22:33

          • … anche se conosco moltissimi vegetariani che mangiano pesce, in parte cogli bene…dovrei dire ” di magro” come riporta il testo forse…+ continua a fare maestrina penna rossa se ti va, nel senso che di cretinate spesso me ne scappano e quindi occhi di falco/maestrine penna rossa sempre utili. ciao.

            stefano arturi

            01/06/2015 at 22:33

            • Allora se me lo consenti aggiungo una piccolissima spiega:
              The Vegetarian Society, established in 1847 in the UK, the oldest vegetarian organisation in the world, defines a vegetarian as: “Someone who lives on a diet of grains, pulses, nuts, seeds, vegetables and fruits with, or without, the use of dairy products and eggs. A vegetarian does not eat any meat, poultry, game, fish, shellfish* or by-products of slaughter.”
              Il fatto che molti pescetariani si definiscano vegetariani non cambia la definizione orginaria del vegetarianismo 😉

              martuzza

              01/06/2015 at 22:33

              • grazie marta.. chiaro come il sole.. anche se forse, nel 2014, ovviamente quella possibiita’ di uova e latte e latticini pone problemi, considerando come vengono allevati molti di quegli animali da cui uova e latte provengono…. interessante… ad essere rigorosi, e molti vegetariani lo sono, in teoria uno dovrebbe usare uova e latte bio e di fatto eliminare formaggi, che quasi sempre provengono da latti da allevamenti o intensivi o non biologici…. certo forse diventa posizione molto difficile da sostenere… un mondo senza parmigiano e pecorino??? 🙂

                stefano arturi

                01/06/2015 at 22:33

                • Sono d’accordo! Il mondo è cambiato e con esso anche il vegetarianismo… ognuno poi adotta la scelta che ritiene più giusta, tra queste molteplici possibilità.
                  Un mondo senza parmigiano e pecorino… eh sì forse a te non ti ci vedo… 🙂 ma a parte gli scherzi, una volta che si è convinti della propria posizione e degli ideali su cui si fonda, nulla è difficile, anzi è un vero piacere… si fanno altre scoperte, si ri-impara a cucinare su nuove basi. Il mio unico rammarico è di essermi decisa così tardi.
                  Ma lascio la parola a chi magari vorrebbe parlare dellla Torta Pasqualina!

                  martuzza

                  01/06/2015 at 22:33

  4. ci sono talmente tanti spunti che mi ci sono perso per ore ieri. Grazie! V.

    borghis68

    27/05/2015 at 22:33

    • …a chi lo dici, io sono circa 50 giorni che ci “leggo attorno” e ci cucino. La biblioteca di Barilla gran bella cosa.ciao vincenzo, s

      stefano arturi

      27/05/2015 at 22:33


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