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Quanto basta di cucina & altro

Foie Gras – etico oppure no?

with 4 comments

Navigando uno dei miei siti preferiti mi sono imbattuto in questo articolo molto interessante. Giusto per avere qualche informazione in più (il suo autore J. Kenji López-Alt ha anche una validissima rubrica sullo stesso sito chiamata The Food Lab, fra le migliori cose di cucina che si possano leggere sul web). Io non mangio il foie gras da anni, ma non perchè sia poi così “etico” ma per.. ignoranza direi… cioè sapendo che di solito è prodotto in “quel modo”, ma mai approfondendo l’argomento, per “pace di coscienza” me ne sono astenuto, ma senza, ripeto, una chiara consapevolezza. Questa lettura è stata utile.
Anche qui qualche valido spunto (anche se la fine dell’articolo è pessima: in quali condizioni sono cresciuti la maggior parte dei polli??, mi chiedo)
Ps mi sa che voglio provare ora il Faux Gras di Waitrose.

Written by stefano arturi

02/12/2013 at 22:33

4 Responses

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  1. quandi siamo d’accordo su tutta la linea 🙂

    marta

    02/12/2013 at 22:33

  2. Vorrei aggiungere, per chi fosse sensibile a questo tema e si astenesse dall’acquistare foie gras ma fosse ghiotto di magret de canard, confit de canard, aiguillettes de canard… che queste anatre “gavées” vengono poi usate interamente, e che anzi, il “magret”, per sua definizione, non può che provenire da anatre gavées (altrimenti il petto deve essere chiamato “filet”, proprio per distinguere, in quanto è reputato di qualità inferiore al magret). Quindi, se si vuole fare una spesa consapevole, occorre ricordare che potenzialmente ogni parte dell’anatra potrebbe provenire da animali che noi riteniamo più o meno maltrattati.

    marta

    02/12/2013 at 22:33

  3. Abitando nel sud-ouest francese, questo tema, come sai, mi sta molto a cuore. Non ho capito bene “what’s your point”: cioè, a parte il faux gras, alla luce di questo articolo, pensi che anche il foie gras possa essere un cibo “cruelty-free”? Io resto perplessa, pur volendo credere a tutto quanto scritto su Seriouseats, per due motivi: il primo è che comunque, quand’anche il “gavage” sia effettuato senza arrecare sofferenza all’animale, si ha pur sempre come conseguenza un fegato malato, quindi a mio parere si arreca comunque un dolore fisico all’anatra, anche se difficilmente misurabile. Siamo d’accordo, anche la marmotta si fa chiatta chiatta prima di andare in letargo… ma non a tal punto da farsi scoppiare il fegato. Il secondo è che mi chiedo da dove provenga il foie gras in vendita in Europa. Certo, qui a Toulouse, la quasi totalità proviene dal sud-ouest stesso. Ma da te? E in Italia? Le condizioni medie delle fattorie di produzione europee saranno migliori o peggiori di quelle descritte nell’articolo americano? Come accertarsene?
    Ad ogni modo sarei proprio curiosa di assaggiare questo “faux gras” per vedere quanto possa essere simile al foie gras… ma certo, non è restando a Toulouse che posso sperare di trovarlo.

    marta

    02/12/2013 at 22:33

    • Il mio punto è molto più modesto. Innanzitutto volevo segnalare un buon articolo di giornalismo gastronomico. La rete è il cartaceo pieno di aria fritta: questi invece vanno sul campo, osservano, studiano, riportano. Nota anche come la scrittura e i toni siano abbastanza calibrati: cioè vengono evidenziate anche le aree critiche dell’operazione, si fanno osservazioni CONCRETE, e non sulla base di generalizzazioni prive di fondamenta. Si fanno importanti considerazioni sulla fisiologia degli animali: io questo non lo sapevo. Cioè penso sia facile cadere nel “ah, poveri animali chissà come soffrono..”: l’articolo cerca di andare a fondo ed analizzare, senza sentimentalismi ma neppure partendo da preconcetti, mi sembra.
      Inoltre, la cosa bella di questo articolo, è che non vuole difendere una posizione in assoluto, in termini generali: si fa riferimento al qui e ora, a quell’allevamento specifico. null’altro. Chiunque abbia fatto un giro in rete, sa che la maggior parte del foie gras è prodotto con tecniche molto diverse da quelle indicate nell’articolo. Ognuno poi deve scegliere se questo modo di trattare gli animali sia accettabile oppure no.
      Ovviamente a monte c’è quella posizione, da me condivisa, che noi umani abbiamo il diritto di ammazzare gli animali per cibarci, e non solo per necessità, ma anche per piacere e cultura. Il punto non è quindi il momento della morte, ma il momento della vita: come sono trattati questi animali + la nostra responsabilità di farli vivere e morire con dignità.
      Non so se il fegato ingrossato sia più “crudele”, ad esempio, delle mastiti di cui soffrono moltissime mucche, negli allevamenti intesivi, che vengono sfruttate per produrre quantità immani e innaturali di latte, quel latte
      che è alla base di moltissimi cibi che mangiamo, spesso senza soffermarci un secondo sulla loro provenienza.
      Per non parlare dei polli e dei maiali, il cui trattamento è spesso esecrabile.
      Penso che il valore dell’articolo sia appunto questo: di farci riflettere, senza isterismi e sensi di colpa. Trovo molto ipocrita dire, ad esempio, NO al foie grass e poi magari un SII! a pancetta, braciole, petti di pollo, sulla cui provenienza poco sappiamo.
      Io voglio provare questo prodotto di Waitrose per curiosità, ma in generale so che, a meno di essere sicuri al cento per cento (cosa difficile), forse continuerò a fare a meno di foie grass. Grazie per le info sotto, molto, molto utili..

      stefano arturi

      02/12/2013 at 22:33


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